Dissidio: recensione per l'EP “Magari ci sarà un futuro migliore”
Ci sono dischi che non si limitano a raccontare emozioni individuali, ma che
aspirano a diventare cornici collettive,
vere e proprie colonne sonore per chi attraversa un tempo complesso. “Magari ci sarà un futuro migliore”, il
nuovo EP dei Dissidio, appartiene
a questa categoria: quattro tracce che
incarnano il sentimento di una generazione che non vuole rinunciare a credere
che un futuro diverso sia possibile.
Il titolo racchiude l’intero concept: “Magari ci sarà un futuro migliore” non è
un’espressione ingenua di speranza, ma un auspicio che implica
impegno. Il futuro non si aspetta, si
costruisce. La band sembra raccogliere questa lezione e tradurla in
musica, dando vita a un lavoro che non si
limita a intrattenere, ma invita a pensare, immaginare, agire.
L’apertura con “Un cuore fermo” è significativa: il brano è la
soglia che introduce a un mondo sonoro completamente diverso da quello del
debutto “Thisorientamento”. Qui
la scrittura si fa più diretta, quasi chirurgica, eppure mai fredda. La struttura del pezzo gioca su un equilibrio
fragile, come un cuore che appare immobile ma che in realtà custodisce
un battito segreto. È una canzone che racconta l’attesa e la tensione, una sorta di fotografia sonora di un presente sospeso,
pronto a esplodere in cambiamento. Gli arrangiamenti sono stratificati, la voce
si muove tra intimità e distacco, e la produzione conferisce al tutto un respiro contemporaneo, mai prevedibile.
Con “L’odio”
i Dissidio compiono un salto netto. La parola “odio” rimanda a un sentimento
distruttivo, ma nel brano diventa il
motore di una trasformazione sonora. La band osa: introduce nuove
sonorità, accoglie contaminazioni, spinge le chitarre in direzioni irregolari e
inserisce elementi elettronici che donano un respiro inedito. Non è solo una traccia rabbiosa, ma un laboratorio in cui l’energia negativa viene
trasfigurata in forza creativa. È come se i Dissidio ci dicessero che persino l’oscurità può generare luce, se
viene attraversata senza paura.
Il terzo brano, “Felice e contento”, è forse quello più spiazzante.
Il titolo suggerisce una leggerezza che in realtà non c’è o, meglio, che viene
subito contraddetta da atmosfere surreali
e da una struttura complessa. Qui ritroviamo echi di Thisorientamento, ma non come nostalgia: è
piuttosto un esercizio di autoanalisi,
un modo per recuperare il proprio passato e rielaborarlo alla luce di nuove
influenze. I riferimenti jazzistici, le
dinamiche teatrali e i rimandi cinematografici costruiscono un brano
che sembra divertito e inquietante allo
stesso tempo. È la dimostrazione che i Dissidio sanno guardarsi allo specchio senza smettere di
evolvere.
Infine, la title track “Magari ci sarà un futuro migliore” chiude l’EP con
un gesto radicale: un brano interamente
strumentale. La scelta di eliminare le parole è coraggiosa e
perfettamente coerente con il concept. Se i primi tre brani hanno raccontato
tensioni, contraddizioni, speranze, quest’ultimo affida tutto alla musica, come se il futuro potesse
essere immaginato solo attraverso le note, senza l’interferenza del linguaggio verbale. È un brano
sospeso, contemplativo, che lascia aperta
la porta a infinite interpretazioni.
Nel complesso, l’EP funziona come un racconto breve: quattro capitoli che si
leggono d’un fiato ma lasciano tracce profonde. I Dissidio dimostrano
di saper crescere senza snaturarsi,
e di voler mettere la loro musica al
servizio di una narrazione collettiva.
“Magari ci sarà un futuro migliore”
è la colonna sonora di chi non vuole
arrendersi, di chi sa che la
speranza è fragile ma necessaria.
E soprattutto, è la conferma che i
Dissidio non hanno paura di osare.