Uno&Mezzo: “Piombo” e il suono che racconta la tossicità del nostro tempo

Con il nuovo singolo “Piombo”, il duo strumentale Uno&Mezzo scava nelle profondità più oscure dell’animo umano, costruendo un linguaggio fatto di tensione, densità e introspezione. Il brano si muove su coordinate post-rock industriali, dove il basso e la batteria diventano strumenti di narrazione emotiva, alternando momenti di compressione sonora a spazi di sospensione che amplificano il senso di claustrofobia e isolamento.

“Piombo” non è soltanto un titolo, ma un manifesto sonoro: una sostanza tossica che si fa metafora del presente, un mondo saturo di elementi che ci avvelenano dentro e fuori. Il singolo anticipa un progetto più ampio, in cui ogni brano porta il nome di una sostanza nociva, componendo una mappa emotiva della tossicità contemporanea — dalle dipendenze alle pressioni sociali, dalle paure interiori al rumore costante che soffoca il silenzio.

Attraverso suoni grezzi, elettronica viscerale e immagini evocative che accompagnano la musica, Uno&Mezzo costruiscono un’esperienza sensoriale totale, dove ogni nota pesa come metallo fuso e ogni pausa respira come un pensiero represso.

In questa intervista per Il Riflettore, il duo racconta la nascita di “Piombo”, il valore del silenzio e la forza di un suono capace di trasformare la pesantezza in consapevolezza.

“Piombo” è un titolo che evoca materia, peso, tossicità. Cosa rappresenta per voi questa scelta a livello simbolico?
Il “Piombo” è una sostanza tossica. Devi sapere che tutti le canzoni che comporranno il disco avranno il nome di una sostanza tossica. Questa vuole essere una metafora per dire che siamo circondati da cose che ci intossicano, sia in senso fisico, ma anche nell’anima.  

Il brano affronta il tema della dipendenza senza parole. Come si può raccontare un dolore così complesso solo attraverso il suono?
In realtà il nostro concept prevede sempre l’ausilio di video e immagini per esprimere al meglio i concetti, specialmente nei live. “Piombo” è accompagnato da un videoclip che enfatizza il concetto anche se crediamo che la sola musica riesca a trasmettere un senso di oppressione e pesantezza tipico di chi vive una situazione come la dipendenza, in ogni sua forma.

Quanto è importante per voi lasciare spazio al silenzio in un pezzo che parla di claustrofobia e tensione?
Il silenzio è un aspetto fondamentale, specialmente di questi tempi dove tutti urlano e la nostra testa è bombardata di informazioni 24 ore al giorno. E’ uno spazio interiore che è necessario ricavarsi per poter affrontare quello che ci circonda con maggiore consapevolezza. Nei nostri pezzi cerchiamo sempre di giocare su questa dinamica.

C’è un momento preciso nella genesi del brano in cui avete capito che “Piombo” stava diventando qualcosa di più di un esperimento sonoro?
In realtà il pezzo, come tutto il disco, ha avuto una genesi molto veloce. Ci mandavamo le parti di batteria e basso ed in pochi giorni di “avanti e indietro” di file ed idee avevamo il 90% del pezzo. Poi abbiamo affinato tutto live in sala prove.

Se “Piombo” fosse una sensazione fisica, quale sarebbe?
Direi pesantezza e oppressione.