LaFabbrica: «I testi di “Barriere” sono diretti, ma anche poetici»


Barriere è il nuovo disco de LaFabbrica, un racconto crudo e poetico su una realtà soffocante fatta di limiti sociali, economici e personali. Al centro, una generazione sospesa tra il bisogno di resistere e il desiderio di vivere. Le canzoni trasformano l’oppressione in consapevolezza, dando voce a chi lotta ogni giorno. Abbiamo intervistato la band per approfondire i temi del disco e il significato di scrivere in un tempo frammentato.

I testi di “Barriere” sono diretti, ma anche poetici. Come nasce la scrittura dei brani? Parte da immagini, storie o esperienze personali?
La scrittura nasce prima di tutto dall’osservazione attenta di ciò che ci circonda. Cerchiamo di lasciarci attraversare dalla realtà, senza filtri, facendoci contaminare da quello che viviamo ogni giorno. Le esperienze personali, così come le immagini e le storie che incontriamo, rappresentano la base da cui tutto parte.

“Kiev” è forse il brano più emotivo. Racconta la guerra attraverso gli occhi di un padre. Come avete lavorato su un tema così delicato?
Sì, molti di noi sono genitori, e questo ci ha portato ad affrontare il tema con grande rispetto. Abbiamo cercato di metterci nei panni di chi vive ogni giorno con la paura di non riuscire a proteggere chi ama. Il brano è nato dal tentativo di tradurre in musica quel senso di fragilità e impotenza che il ruolo di padre può far emergere in situazioni estreme, dove la quotidianità viene spezzata e ogni certezza viene meno.

In “Intorno” affrontate il confronto con le vite degli altri, spesso fittizie. Quanto pensate che i social amplifichino questo senso di frustrazione?
I social amplificano enormemente questa sensazione di confronto e inadeguatezza, perché mostrano solo frammenti idealizzati della vita degli altri, creando una realtà falsata con cui ci misuriamo ogni giorno. Per chi è più sensibile o vive già una fragilità emotiva, questo confronto costante può diventare terreno fertile per l’isolamento, “Intorno” cerca di raccontare questa distanza ed il disagio profondo che può derivarne.

“Come stai Matteo?” sembra una critica esistenziale rivolta a chi si è perso dietro a convinzioni vuote. Esiste ancora la possibilità di cambiare?
Le convinzioni vuote fanno parte del nostro quotidiano, ci vengono spesso presentate come verità assolute o come slogan elettorali, frasi fatte che riempiono i discorsi pubblici. Crediamo che Il cambiamento sia ancora possibile ma che non si ottenga restando comodi sul divano a guardare il mondo che scorre. Partendo da sé stessi e dal proprio modo di stare nel mondo dovremmo metterci in discussione ed agire, anche quando sembra più facile voltarsi dall’altra parte.

C’è un filo conduttore tra i personaggi del disco? Ognuno rappresenta un frammento di una condizione collettiva?
I personaggi del disco sono persone come tante, che vivono e si muovono dentro le contraddizioni di oggi. Abbiamo l’illusione di essere tutti più vicini ma in realtà ci sentiamo spesso più soli e distanti. I brani raccontano proprio queste storie, piccoli frammenti di vita in un mondo che a volte sembra fatto solo di impedimenti.