Fabio Martorana: “Perdersi per ritrovarsi, insieme”. L'intervista de Il Riflettore
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Fabio Martorana - foto autorizzata |
Fabio, cosa ti ha spinto a
scrivere un brano così introspettivo in un periodo in cui la musica sembra
puntare più sull’evasione?
La mia vita è sempre andata un
po’ controtendenza, ma non credo sia solo questo il motivo per cui scrivo brani
introspettivi. Penso sia più una necessità interiore: mi manca quel tipo di
musica che sa andare in profondità, che unisce parole significative a una
melodia capace di toccarti dentro. Ho il bisogno di risentire quella musica che
emoziona, che racconta qualcosa di vero e universale, e che riesce a fondere
sensazioni e riflessioni. Forse scrivo così proprio perché vorrei ascoltare di
più questo tipo di sincerità anche negli altri.
“Sarà come perdersi” ha una
struttura classica ma un’anima moderna: come trovi questo equilibrio tra
tradizione e innovazione?
Amo l’innovazione, ma solo
quando è accompagnata da elementi che conservano una certa eleganza classica.
Cerco sempre il giusto bilanciamento tra la modernità dei suoni attuali e la
profondità emotiva delle strutture tradizionali. Mi piace sperimentare, ma
senza perdere il legame con le radici musicali che mi hanno formato.
Il videoclip sembra raccontare
una storia sospesa tra ricordo e realtà: come hai costruito il concept visivo?
Credo che i flashback siano tra le immagini più potenti, perché evocano
emozioni immediate. Per questo ho voluto inserire dei momenti che sembrano
scene quotidiane, ma che in realtà sono ricordi nascosti, camuffati nel
presente. È un modo per raccontare come i pensieri e le emozioni del passato
continuano a vivere dentro di noi, influenzando il nostro presente senza che ce
ne accorgiamo davvero.
Quanto c’è di autobiografico
nel tuo approccio alla musica?
Tantissimo. Ogni canzone nasce
da un’emozione reale che ho vissuto, o che mi ha attraversato. Non riesco a
scrivere se non mi sento coinvolto profondamente. Prima di mettere una parola
su carta, cerco sempre qualcosa dentro di me: un ricordo, una sensazione, una
ferita o una gioia da trasformare in melodia.
Hai studiato molto, sei
laureato due volte, eppure la musica è rimasta al centro. Come riesci a
coniugare le tue anime?
Cerco sempre un equilibrio tra
la mia parte artistica e quella razionale. È come camminare su un filo sottile:
da un lato c’è l’ingegnere, concreto e analitico, dall’altro l’artista, emotivo
e libero. Probabilmente, come diceva Re Salomone, la verità sta sempre nel
mezzo. Credo profondamente in questa visione: tenere insieme mondi diversi è
possibile, se c’è armonia tra le parti.
Nei tuoi testi c’è spesso un
richiamo alla consapevolezza e alla riflessione. È una scelta artistica o una
naturale inclinazione?
È una naturale inclinazione.
Riflettere, cercare un senso più profondo nelle cose, è parte del mio modo di
vivere e di osservare il mondo. La consapevolezza è ciò che mi aiuta a restare
in equilibrio, e inevitabilmente finisce dentro le mie canzoni. Scrivere è
anche un modo per fermarmi e ascoltarmi.
Con “Sarà come perdersi” quale
messaggio vorresti arrivasse forte e chiaro a chi ti ascolta?
Vorrei che arrivasse l’idea che
anche dopo un momento buio può tornare la luce. Che la tempesta può insegnarci
a riconoscere e apprezzare meglio il sereno. E che quando impariamo a viverlo
con più consapevolezza, ogni emozione diventa più intensa, più viva, più vera.