Intervista agli AABU: "In una tempesta" e il potere della vulnerabilità visiva
Il nuovo singolo degli AABU, "In una tempesta", si immerge nell'emozionalità di chi vive una relazione tossica, cercando di mantenersi a galla mentre il mondo intorno crolla. Con un sound che cattura la fragilità e il desiderio di essere visti e salvati, il brano diventa una riflessione sulla vulnerabilità umana, simbolicamente paragonata a una barca che affronta una tempesta in mare aperto. Per questa occasione, abbiamo intervistato la band per scoprire come questo viaggio emotivo è stato tradotto anche in un potente videoclip, che affida il ruolo centrale alla danza, un linguaggio corporeo in grado di esprimere l’intensità del brano.
Come è nata l’idea di affidare a una danzatrice il ruolo centrale nel videoclip?
Per noi la musica deve sempre essere al centro. I nostri volti non sono protagonisti: siamo semplicemente al suo servizio.
Da qui l’idea di trasformare “In una tempesta” in un’esperienza visiva affidata a un corpo che si muove, si lascia trasportare, accompagna e affronta il flusso.
La danzatrice diventa una guida, una presenza costante che abita le emozioni del brano, attraversando con noi il viaggio sonoro. Lei è la nostra tempesta in movimento.
Le location scelte raccontano una trasformazione: quanto è stato importante per voi tradurre la narrazione del brano anche visivamente?
Il cambio di ambientazione è il cuore del videoclip.
Ogni spazio racconta una sfumatura emotiva: il luogo in cui la danza si svolge è parte integrante della storia.
La canzone oscilla tra momenti di tensione e momenti di sospensione—tra slanci e attese. Volevamo che il corpo della protagonista reagisse a tutto questo, e gli ambienti ci hanno aiutato a rendere quel movimento più evidente.
Non è solo una questione estetica: è narrazione visiva che evolve insieme alla musica.
In che modo avete lavorato con Danilo Garcia Di Meo per far combaciare il linguaggio cinematografico con l’identità musicale degli AABU?
Con Danilo è scattata subito una connessione profonda.
Condividiamo con lui la passione per la musica, certo, ma anche per la fotografia—che per lui è vocazione, visione, linguaggio.
Da questo incontro è nato un percorso che va oltre il videoclip: una narrazione visiva della nostra vita come band, che da tempo cercavamo e non riuscivamo a trovare.
Non siamo mai stati bravi a raccontarci sui social, dove l’immagine sembra dover parlare più forte della sostanza. Danilo, invece, ha trovato il modo di restituire la nostra identità con autenticità e immediatezza.
La decisione di realizzare un video insieme è arrivata in modo naturale, senza troppe parole. Quando qualcosa è giusto, lo senti subito.
Cosa rappresenta per voi il momento finale del video, quello in cui cala il silenzio dopo la caduta?
Quel silenzio è un respiro profondo dopo il caos, la quiete dopo la tempesta, una resa che non è sconfitta ma consapevolezza.
È il momento in cui si chiude un ciclo. Come quando il suono svanisce e lascia spazio all’eco dentro di te.
Pensate che il videoclip possa oggi avere lo stesso peso espressivo di una canzone?
Viviamo in un’epoca dominata dall’immagine. L’apparire spesso precede l’ascoltare.
Ma se le immagini riescono a raccontare l’anima di una canzone—come ha fatto Danilo—diventano un’estensione del suono, un modo per amplificarne il messaggio.
Per noi, la musica deve sempre parlare per prima. Deve arrivare dritta, anche senza supporti visivi. Ma se un video può aiutare qualcuno a sentire meglio una canzone, allora ha senso. E noi speriamo che questo lo faccia.
Tags :
Interviste