Antonino: “Basta anche un’ora per sentire tutto”. L'intervista de Il Riflettore

Antonino - Ph. by Fabrizio Cestari

Nel cuore di una carriera ventennale, Antonino decide di fermarsi e riflettere sull’amore con “Un’ora d’amore”. Tra malinconia urbana e pulsazioni pop, il singolo è un’istantanea potente e sincera del sentimento moderno. Ce ne parla in esclusiva su Il Riflettore.

 

“Un’ora d’amore” è un titolo che suona come una dichiarazione. Cosa significa per te quell’ora?

È il tempo sospeso in cui tutto si ferma: il caos della città, i pensieri, le paure. È l’unico momento in cui ci si può dire tutto, o non dire nulla e capirsi lo stesso. Un’ora può sembrare poco, ma a volte è tutto ciò che serve per sentirsi vivi, desiderati, visti davvero.

Cosa hai voluto raccontare con questa ‘preghiera urbana’, come la definisci?

Volevo dare voce a chi ama senza tempo e senza regole. È una preghiera metropolitana, piena di rumore e luce al neon, che cerca tenerezza nel disordine. È un desiderio di contatto, ma anche una richiesta d’ascolto. Racconto l’amore così com’è oggi: immediato, fragile, eppure potentissimo.

Il video ha un’estetica anni ’80. Cosa rappresenta per te quell’epoca dal punto di vista emotivo?

Gli anni ’80 per me sono energia, libertà e passione. Erano anni di eccessi ma anche di sogni enormi, di corpi in movimento, di musica che si sentiva prima con la pelle che con le orecchie. Ho voluto riprenderne lo spirito, ma attualizzarlo: raccontare la nostalgia senza cadere nella malinconia.

Qual è stato il momento più emozionante durante le riprese del videoclip?

Quando sono entrato nella sala da ballo per la prima volta. Tutti i ballerini erano già lì, in sincrono, pieni di adrenalina. Ho sentito subito che stava nascendo qualcosa di vero. E poi il momento finale, quando ci siamo abbracciati tutti senza dirci nulla… solo con il respiro e il sudore addosso. Quella è stata un’ora d’amore.

Ci sono state scelte vocali o stilistiche particolari che hai voluto esplorare in questo singolo?

Sì, ho cercato un equilibrio nuovo: essere potente senza urlare, fragile senza cadere. Ho lavorato su dinamiche molto intime, lasciando spazio anche al silenzio tra le frasi. Vocalmente è una linea morbida, ma intensa. E poi c’è quella coda finale sospesa… è come un respiro che non vuole finire.

Guardandoti indietro, quanto è cambiato il tuo modo di raccontare l’amore nella musica?

Tanto. All’inizio raccontavo l’amore come una favola, poi come una ferita. Ora lo racconto come un’esperienza umana, profonda, fatta di errori e di bellezza. Ho capito che l’amore non va spiegato, va cantato. E ogni volta lo faccio con un pezzetto nuovo di verità.