Edoardo Cerea: ascoltando il nuovo disco


L’America non è lontana diceva qualcuno. Oggi più che mai fin dentro le tante ispirazioni che ha sempre avuto la nostra canzone d’autore. E il pop di Edoardo Cerea spesso diviene scuro, di quelle sensazioni metropolitane, di scenari autunnali, di dopo scuola e di romanticismi eternamente adolescenziali. Però anche tanta maturità nell’osserva e nel cantare la vita, questa “Lunga strada” che poi, tante volte, è assai simile a quella che percorriamo tutti. È un disco semplice, lontano dalle mode main stream del momento, un disco di una voce solitaria nel mucchio del tanto rumore che c’è. Sono dischi che finiremo per perderci strada facendo, lunga e intasata com’è… e noi ci fermiamo, è il nostro compito, è la nostra passione. In qualche modo siamo tutti
incalliti sognatori
 
Mi piace assai “Incallito sognatore”. Che rapporto hai con i sogni?

Dunque…diciamo che più passa il tempo e più sono disincantato. Quando sei molto giovane, spesso, hai dei sogni davvero enormi, quasi irrealizzabili e molto ideologici. Poi passano gli anni e devi saper riconoscere, quali di questi sogni possono trasformarsi in propositi concreti. Non sempre in una vita riusciamo a realizzare tutto, ma il tempo ci trasforma e anche i desideri cambiano con noi.
 
E perché il dolore ci protegge? Secondo te è un dolore ogni volta che si nutrono ambizioni?

“Il dolore ci protegge” è il concetto cardine del brano. L’incallito sognatore (che non sono io) in un momento di lucidità riconosce al dolore umano (sia fisico che emotivo) una sorta di argine, di tutela contro la pericolosa deriva del sogno come sostituto della realtà. Per questo motivo il protagonista (uno dei tanti che ha creduto nella musica come veicolo per migliorare/salvare il mondo) alla fine si abbandona ad una sentenza piuttosto forte nei confronti del rock parlando semplicemente di visione e illusione giovanile. Una canzone abbastanza amara.

 

La title track di questo disco: posso dirti che esce assai fuori dal resto del suono? Un gioco, un divertissement?

Si ci può stare, direi più come scrittura, che come arrangiamento. Per l’intero album ho usato sempre la solita formazione e strumentazione, sono io che ho uno stile compositivo piuttosto eterogeneo, che va ad attingere nell’infinito universo rock/pop/folk. Comunque niente di calcolato.

 

Domanda assai popolare ma decisamente curiosa: oggi il cantautore che ruolo ha? Che ruolo ti dai e che posto pensi di occupare?

Voglio essere molto sincero e diretto: non lo so. Io cerco sempre di dare il massimo, mi sento sempre molto responsabile nei confronti di chi vuole ascoltarmi, cancello e cestino più del doppio di quello che tengo, ma in primis lo faccio per me. Perché questa è la vita che ho scelto, che mi fa stare bene e moderatamente in equilibrio. D'altronde lo ha detto anche il chitarrista degli WHO in tempi non sospetti: “ Hey ragazzi, il rock and roll non risolve i vostri problemi, però vi ci fa ballare sopra!”

 

E dopo mesi dalla pubblicazione? La strada è cambiata in qualche modo, sta cambiando, sta prendendo altre ispirazioni? Te lo chiedo perché nel tuo tempo hai dimostrato anche una sottile dinamica nelle variazioni di stile…

Spesso dico che in questo album sono contenute una serie di riflessioni “momentaneamente definitive”.  Attraverso questo ossimoro voglio innanzitutto lasciare una porta aperta a future produzioni, ma anche cristallizzare sentimenti, emozioni e considerazioni che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Quando sono sul palco poi, prima di eseguire la titletrack, dico sempre che la vita on stage, ma soprattutto quella reale, spero darà le risposte alle domande contenute nel brano. Alcune stanno già arrivando, ma è ancora presto per esporle.