I limiti umani: ne parliamo con lo scrittore Giovanni Margarone


Nel saggio
2020 il mondo si è fermato, ci avrà insegnato qualcosa? (Amazon, 2021) lo scrittore Giovanni Margarone aveva dedicato un capitolo ai limiti; i limiti umani, per ben intenderci.
Ha poi affrontato nuovamente l’argomento con un editoriale pubblicato di recente, dal quale traiamo spunto per chiedergli un ulteriore approfondimento sul tema.
 
Giovanni, il termine “limite” cosa abbraccia?
Il termine limite abbraccia la nostra vita, nell’accezione più ampia del termine. È la dimensione stessa nella quale viviamo che è finita, limitata. La nostra mente non riesce a percepire il concetto di infinito, illimitato; è un qualcosa che ci sfugge e ci incute timore, dubbio, insicurezza e altri sentimenti riconducibili all’impotenza e l’uomo, per sua natura, cerca la potenza, concetto filosofico ampiamente discusso da Aristotele, che è l’effetto dell’agire correlato all’energia. E la potenza ha un limite, è finita anch’essa.
Per questo relazioniamo tutto a un limite, perché il mondo tangibile, quello che percepiamo, è fatto di cose e creature finite nello spazio. Il nostro pianeta è finito perché gli uomini hanno scoperto, nel tempo, che se partivano verso ovest, sarebbero tornati al punto di partenza. Sono finiti i nostri viaggi e ciò che ci circonda. Solo puntando gli occhi al cielo, affondando nel nero della notte siderale, ci imbattiamo in ciò che non capiamo: l’infinito, che l’uomo ha cercato di interpretare con la matematica, la filosofia, la religione e il risultato di questa ricerca ha portato a ciò che ho detto poc’anzi: paura.
Ma dalla radice del concetto di limite, si dirama ciò che interessa la nostra sfera astratta, quella più profonda, che coinvolge il nostro io e che al pari dell’infinito spesso non comprendiamo o ignoriamo.
Faccio riferimento in questo agli aspetti foschi dell’uomo facenti parte della sua natura e che non si possono eliminare, semmai solo lenire. Così l’egoismo, la cattiveria, l’arroganza, l’indifferenza, il pregiudizio, la vanità, l’avarizia, per esempio, rendono l’uomo limitato perché lo fanno prigioniero, sebbene creda di essere libero.
Per meglio comprendere questo concetto mi rifaccio alla cattiveria. Cattivo deriva dal latino captivus che significa prigioniero. La persona cattiva è quindi prigioniera della sua sete di compiere azioni malvage con compiacimento. E dal termine cattivo partono tutti quegli attributi che hanno correlazione con il male. Fare del male nelle sue molteplici forme e sfumature è un limite, perché il cattivo ha la vista offuscata sul mondo ed è incapace di fare del bene.
Quindi abbiamo da una parte il male, un limite, dall’altra il bene che non può essere un limite, sebbene non sia infinito, perché il bene è amore: il motore che manda avanti il mondo.
L’indifferenza verso i più deboli, la superbia, il razzismo sono veri limiti, perché l’individuo non coglie l’essere da diverse prospettive, come è in una dimensione plastica. Soffrendo di ottusità, è incapace di vedere oltre i limiti del suo microcosmo (come disse Nietzsche), condannandolo alla mediocrità.
Un mondo solo di amore sarebbe l’Eden, ma l’uomo è condannato a vivere con i suoi difetti la vita terrena e a soffrire dei suoi limiti, nel delirio di potenza che è fondamentalmente l’illusione di un essere fragile.
 
Nel tuo editoriale passi in rassegna le diverse epoche storiche e correnti di pensiero, dalla filosofia greca all’Illuminismo, per poi citare Nietzsche e arrivare a Freud con la psicanalisi. Come è cambiato nel tempo il concetto di “limite”?
In ogni epoca storica, l’uomo si è imbattuto nella problematica, cercando di risolvere il dilemma del limite. Sostanzialmente, tuttavia, il concetto è rimasto tale, è stato solo affrontato in modi differenti nel corso del tempo grazie all’evoluzione del pensiero. Tuttavia possiamo dire che il discorso partì, per ciò che concerne la cultura occidentale, dai nostri cari amici Greci con il pensiero di Parmenide, il quale approfondì l’Archè, l’inizio, dal quale partivano tutte le cose e l’esistenza stessa dell’uomo, negando il divenire e, per questo, mettendosi in contrapposizione con Socrate e Platone. Per questo Parmenide fu sconfessato da taluni filosofi a lui posteri, poiché il divenire, contrapposto all’immutabile, definisce l’inizio e la fine di tutte le cose diventando Episteme (a partire da Platone).
Tale definizione è stata discussa e confutata dalla filosofia moderna, in quanto lo sviluppo del pensiero filosofico contemporaneo rifiuta il concetto di una verità assoluta, già messo in discussione, peraltro, all’epoca dell’Illuminismo con la ragione, licenziando l’opinione quale strumento essenziale per l’espressione del pensiero libero, svincolato dai dogmi.
Riguardo a Freud, con la psicanalisi è iniziata l’era dell’esplorazione dell’io, ponendo l’uomo nelle condizioni di mettere in discussione se stesso e, quindi, di renderlo consapevole dei propri limiti riconoscendo i suoi difetti. È in sostanza la scoperta scientifica (psichica) di quell’uomo fragile descritto da Nietzsche in “Umano, troppo umano”.
 
Scrivi, testualmente: “Quando pensiamo ai limiti umani, ci sovviene subito il pensiero di quelli fisici e mentali e il nostro istinto ci induce a escludere, perché è quanto mai bizzarro il nostro concetto di normalità”. Spiegaci meglio…
Mi rifaccio al concetto di microcosmo, quella sfera che ci avvolge e spesso ci impedisce di capire ed esplorare il mondo che ci circonda, di averne una visione fluida. L’accezione di normale l’ha spiegata molto bene Nietzsche: l’anormale non esiste. È solo una questione di punti di diverse prospettive e più sono i punti di vista, più la nostra mente ci rende consapevoli della molteplicità dell’essere.
In altre parole, tutto è determinato dal contesto morale, sociale e culturale in cui l’individuo vive, ossia il suo essere è normale in relazione al sentimento condiviso nel suo contesto e all’accettazione del suo essere da parte degli osservatori che lo circondano. Se ci sarà empatia tra lui e gli altri, sarà ritenuto normale e sarà accolto.
Il tutto è imperniato soprattutto sul concetto di morale, dai cui deriva il significato filosofico dell’etica (la filosofia morale).
Una morale può essere “buona” o “cattiva” anzi, ritenuta buona o cattiva. Se in un contesto sociale vige una morale ritenuta cattiva da un altro contesto, quella morale per il contesto di partenza può ritenuta buona e viceversa.
Per questo Nietzsche giustificò l’omicidio. Se in un contesto è ritenuto morale porre fine alla vita di un uomo o di una donna, perché l’assioma è che la vita comunque ha una fine e quindi viene data una giustificazione all’omicidio, questo non è delitto. Ovviamente Nietzsche fu biasimato per questo, perché una morale così estrema - peraltro ritenuta plausibile da alcune sette anche oggi – oltre a favorire l’autodistruzione del genere umano, è rifiutata dalla maggior parte dell’umanità (per nostra fortuna) a tal punto che la pena di morte (uccisione di un individuo per reati gravi da lui commessi) è stata abolita o non è applicata nella maggioranza degli stati del mondo. Quindi la morale diffusa è “non uccidere”, chi uccide non è normale ed è immorale.
Abbiamo poi una morale personale, legata all’io, che sebbene sia ancorata a quella del contesto in cui vive, talvolta si svincola da esso. Ciò è spesso legato all’ambiente familiare e sociale in cui ha vissuto e dalla sua storia di vita, nel corso della quale si sono formate convinzioni diventati preconcetti inducendolo in errore. Tale condizione comporta una soggettività del concetto di normalità, portando l’individuo a escludere ciò che secondo lui non è normale in senso lato. Da qui parte il suo rifiuto ad allacciare rapporti con persone diverse da lui, come i diversamente abili, per esempio, oppure gli stranieri, esprimendo un opinabile razzismo. Questo è un grave problema assai attuale, basta leggere i giornali ogni giorno dove vengono riportate cronache di episodi di razzismo, omofobici e xenofobi sfocianti talvolta nella violenza. È chiaro che gli attori di questi deprecabili episodi siano da analizzare profondamente dal punto di vista psichico, perché all’origine c’è sempre un perché. E sebbene siano atti da condannare perché sfuggono dalla normalità del vivere civile (parlando del nostro mondo occidentale), il giudicare è sempre meglio lasciarlo fare a chi è deputato, sempreché questi abbia a disposizione idonei strumenti giuridici per farlo.
Il nostro giudicare, invece, può essere un modo per esprimere i nostri limiti, rifacendomi al concetto freudiano di discutere se stessi.
Gesù disse: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
In conclusione, il tema della normalità è molto complesso, ma alla radice di tutto ci sono sempre il bene e il male e non può essere accettata una normalità in cui è biasimato colui che dona se stesso agli altri, esprimendo amore verso il prossimo.
“Io ti do parte di me perché ti amo”.
Questo è un messaggio che sfonda tutte le porte per credenti e non credenti e che vince il male in tutte le sue forme!
 
L’incertezza per il futuro, mille voci discordanti che ci hanno bombardato giorno dopo giorno, la paura, il dolore sono solo alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato il 2020 dall’inizio della pandemia e che vengono affrontati con mente analitica ma profondamente umana nel tuo saggio. A fronte delle restrizioni che abbiamo vissuto dalla sera alla mattina, il concetto di “limite” e “limitazione” è a tuo avviso cambiato?
A mio modesto avviso, forse il concetto di limitazione è cambiato, mentre quello di limite è rimasto tale.
Sono quasi due anni che è iniziata questa pandemia infinita e ora, in novembre, l’ombra delle restrizioni incombe ancora, tra voci discordanti e antagoniste. In realtà, nessuno sa dove sia la verità, fra i mass media che continuano a promanare notizie catastrofiste, virologi con opinioni contrastanti, mentre noi tutti ne facciamo indigestione con elevato stress emozionale, ormai stanchi se non assuefatti, con la speranza che si torni a vivere come nel bellissimo 2019. Ma questo è un altro discorso.
Il concetto di limitazione forse è cambiato perché ci ha toccato individualmente tutti. Come più volte ho scritto nel saggio, dopo lustri di libertà (di movimento) è difficile accettare che questa sia stata repentinamente ridotta. È più una questione di abitudine.
Eravamo abituati alla libertà e pensavamo che nulla al mondo potesse toccarcela.
Ma la storia insegna e se guardiamo altrove nel mondo, possiamo comunque tranquillamente dire di essere dei privilegiati. Spero che ciò che ci è accaduto sia un monito a non disprezzare la libertà, spesso bistrattata, soprattutto da parte delle generazioni post seconda guerra mondiale. È una buona occasione per tornare ai valori. Spero che questa esperienza non venga dimenticata, perché l’oblio spesso incombe, quando c’è un dopo si dimentica spesso il prima.
Riguardo ai limiti, bisogna sensibilizzare le coscienze, perché chi è diverso da noi non è peggio di noi; siamo noi peggio di loro, in quanto incapaci di comprendere che su questa Terra siamo tutti figli dello stesso Dio e non esistono figli e figliastri e che la diversità è una ricchezza.
Riguardo allo stesso Dio, impariamo a rispettare le religioni non nostre perché sono tutte espressioni di quella forza che vogliamo credere muova l’Universo infinito. E rispettiamo gli atei perché ognuno è libero di credere oppure no. Il bene non ha etichette, lo si fa a prescindere che uno creda o no. Purtroppo anche il male non ha etichette e questo bisogna combatterlo sempre e comunque a spada tratta per il bene di tutti noi.
 
In chiusura, nelle pagine del tuo saggio troviamo il capitolo I VERI LIMITI dedicato ad Alex Zanardi, tifando per lui affinché vinca questa seconda dura prova della sua vita. Che lezione di vita ci dà quest’uomo?
Ci dà una lezione esemplare, perché nonostante il suo limite ha dimostrato che la forza di volontà è la vera potenza, che esiste sempre una seconda opportunità, che si può essere vincenti a prescindere e il suo limite non è un limite!
Limitati sono gli ottusi, i mediocri, i poveri d’animo, i malvagi.
Nei miei romanzi, che invito a leggere (visitate il mio sito https://margaronegiovanni.com), è trasversale il tema del riscatto, della palingenesi esistenziale, della rinascita.
Lezioni analoghe ce le hanno date le ragazze e i ragazzi delle Paraolimpiadi, scienziati come Stephen Hawking, e tanti altri grandi uomini e donne che nonostante la loro disabilità sono diventate pietre miliari dell’umanità. Persone ricche dentro, che saranno sempre un grande esempio per tutti.
Grazie.

di Francesca Ghezzani