Gli State Of Neptune presentano “Killersplinter”: intervista
Nel nuovo singolo “Killersplinter”, gli State Of Neptune raccontano la frattura di una generazione che vive tra la rabbia e il desiderio di cambiamento. La band palermitana dà voce a un Sud ferito ma ancora capace di resistere, trasformando il disagio in forza creativa e visione collettiva.
Nell’intervista a Il Riflettore, il trio spiega come la propria musica sia un tributo all’isola, alla Sicilia come luogo di contrasti e rinascite continue. Il mare diventa simbolo di isolamento e connessione, mentre “Killersplinter” si fa racconto di chi resta, denuncia di chi osserva e speranza di chi sogna un futuro migliore.
Nella vostra biografia dite che la vostra musica è un “tributo all’isola”. In che modo Palermo e la Sicilia entrano nel vostro suono?
Il nome State Of Neptune è legato all'idea di Isola, una terra circondata dal mare, uno "stato che appartiene al mare": il mare che isola e che, contemporaneamente, connette tutte le terre tra loro. Il nostro tributo in quanto Siciliani e Palermitani, venendo da una città che si chiama "tutto-porto", è fare musica che possa connettere i punti distanti nella nostra mente e le persone che la ascoltano, come un profondo inconscio collettivo. Come la Sicilia è sempre stata un punto di arrivo e di partenza, così noi intendiamo la nostra musica: non esclusiva, splendida e dura, impetuosa ma sfaccettata.
Ogni siciliano conosce questa dualità. Quello che racconta "Killersplinter" , la sensazione di crisi perenne e il disagio che ciò crea, appartiene al nostro paese in un modo che ha un nome ben specifico: Questione Meridionale. Ai giovani siciliani (e del Sud in generale) da generazioni viene raccontato di vivere in un Paese fondato su determinati principi, che sfortunatamente per loro non sempre trovano una applicazione concreta. La conseguenza è che si nasce e si cresce con la sensazione che un giorno si dovrà lasciare la propria terra per farsi una vita dignitosa in questo sistema, e in molti, troppi, casi ci si ritrova a dovere accettare questa realtà, pur controvoglia.
Abbiamo tutti e tre ascolti molto eclettici e diversificati, tra artisti che amiamo tutti e quelli che ascoltiamo in modo più personale, e anche quelli più legati a scene musicali specifiche, come la nostra locale che amiamo e che ci ha dato tantissimo. Come musicisti cerchiamo di trovare una quadra soddisfacente e stimolante tra tutte le nostre influenze e intuizioni, e come siciliani abbiamo voglia di comunicare al Mondo il nostro background unico, cercando di superare barriere di genere e scena.
Il Sud è spesso raccontato come luogo di fuga o di resistenza. Dove vi collocate voi in questo spettro?
Finora tutti e tre abbiamo resistito alla fuga, adattandoci in un modo o nell'altro. Fare musica insieme nel quotidiano ci ha sicuramente dato una enorme mano. Per il resto amiamo la nostra città, seppure imperfetta, e i nostri amici e familiari. Il "finora" iniziale è d'obbligo.
Pensate che la rabbia che c’è nel vostro brano sia anche un grido di appartenenza?
Sentiamo di appartenere a una generazione che si è stancata delle infinite storture e ingiustizie che permeano la società costituita, che travalica i confini di mare e terra, e che dalla Sicilia arriva fino al resto del Mondo. Come individui e come band guardiamo al futuro in un senso progressista e di miglioramento, e i tempi che viviamo ci impongono di stare attenti, denunciare e creare alternative.
