Davide Buzzi: intervista all'autore del libro "Memoriale di un anomalo omicida seriale"

Classe 1968, nato ad Acquarossa (Svizzera), attivo nel campo del giornalismo ma con l’arte nel Dna tanto da vederlo pure nelle vesti di cantautore, autore di testi e ora anche scrittore.

Davide Buzzi inizia la sua carriera artistica nel 1982, ma è solo nel 1993 che pubblica il suo primo CD, “DA GRANDE”. 
Negli anni ottiene dei riconoscimenti importanti a livello internazionale per il suo lavoro di autore e cantautore, grazie ad altri due album pubblicati nel 1998 e nel 2006 e ad alcuni brani scritti per altri autori, anche di continenti diversi, tanto da essere nominato per i NAMMY AWARDS di Niagara Falls (USA) nel 2013.
In quell’anno approda pure al mondo letterario con il libro di racconti dal titolo "Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte". 

Nel 2017 arriva sul mercato il suo quarto album discografico, dal titolo “Non ascoltare in caso d’incendio”, di cui i due singoli, “Te ne vai” e “Romaneschi”, scalano le classifiche radio indipendenti, fino ad arrivare a piazzarsi fra i 50 brani più trasmessi in Italia.

Nel 2020 ritorna sugli scaffali delle librerie con “MEMORIALE DI UN ANOMALO OMICIDA SERIALE”, uno spoof thriller da brividi, edito da 96, Rue de-La-Fontaine Edizioni di Follonica.

Davide, ogni anno sei chiamato come inviato a seguire il Festival di Sanremo. Ci dai una tua opinione sull’edizione di quest’anno così discussa e particolare?
È stato indubbiamente un Festival assai particolare, con pochi big veri ma anche con alcune interessanti novità. Su tutti Colapesce e Dimartino, che con “Musica leggerissima” hanno saputo mettere tutti d’accordo.
Interessante anche la vittoria dei Maneskin, con “Zitti e buoni”, assolutamente imprevedibile.
Anche se non di livello altissimo, è stato comunque un bel Festival.

Veniamo al tuo libro “MEMORIALE DI UN ANOMALO OMICIDA SERIALE”. Perché un memoriale e perché ricorrere al genere “spoof” poco praticato in Italia?
Lo dice la parola stessa, memoriale. Si tratta del racconto in prima persona di un serial killer che spiattella davanti al Procuratore pubblico che lo ha tratto in arresto la sua storia di criminale seriale. In effetti più che i fatti veri e propri, Scalonesi rivela la sua verità, spesso fatta di cose non dette ma da interpretare e spesso gratuitamente cruda e vera come solo la morte può esserlo. Come ben sottolinei, si tratta di uno spoof thriller, ovvero un racconto di fantasia ma costruito in modo da essere vero. L’idea è proprio quella di portare in confusione il lettore, come oggi si usa fare con la divulgazione delle fake news, fino a insinuare il dubbio su cosa sia realmente di fantasia nel contesto della storia e quanto invece sia presente la verità.



Se dovessi descrivere Antonio Scalonesi con tre aggettivi, quali useresti? 
Normale, scaltro, spietato e, ne aggiungo un quarto, a volte pure ingenuo.

Fai leva sul lato oscuro che ognuno di noi alberga in sé. Tutti possiamo essere dei potenziali assassini? E, ancora, criminali si nasce o si diventa?
Ovviamente l’io oscuro che tutti noi ci portiamo dentro, e che a volte può emergere a seconda del nostro vissuto, può portarci a commettere qualunque cosa. È però anche vero che diventare assassini non è per niente facile, ci vogliono tanta pazzia e molta determinazione, a meno che non si tratti di uno “sfortunato” incidente. Il ruolo che la nostra coscienza ricopre in questo senso, ovvero nel fermare certe pericolose pulsioni umane, è basilare. La maggior parte delle persone ascolta sempre la propria coscienza, questo fa sì che certi atti in verità siano assai rari. Ovvio però che, contando gli otto miliardi di persone che la Terra ospita, una buona percentuale di assassini salta purtroppo fuori.
Più che altro il nostro lato oscuro può portarci a commettere atti infelici sulla nostra persona, se non controllato o curato, questo sì.
Mi chiedi se criminali si nasce o si diventa… Penso entrambe le cose siano possibili, contano molto il contesto nel quale una persona vive o le esperienze che si ritrova a dover affrontare.

Organizzi una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviteresti a sedere a fianco ad Antonio Scalonesi?
Uh, domanda difficilissima; dal momento che Scalonesi non uccide con il veleno, credo che potrei invitare a sedergli accanto, a destra, Carlo Lucarelli, mentre a sinistra ci metterei Dostoevskij. Io starei a capotavola e ne approfitterei per chiedere a Fëdor di autografarmi la mia copia di “Delitto e castigo”.

Da lettore, della letteratura gialla nelle sue svariate sfaccettature preferisci il giallo, la suspence, deduttivo, hard boiled, psicologico, noir…?
Guarda, a parte l’horror, a me piace tutto. Basta leggere. Il genere horror proprio non mi dà alcuna soddisfazione, lo trovo ridicolo e inutile. Ma ovviamente stiamo parlando di gusti e quindi, per definizione, di soggettività.

Infine, quale nuovo progetto dobbiamo attenderci nel breve da un artista a tutto tondo come te? 
A breve spero di uscire con il mio nuovo album discografico (sono 3 anni che lo dico, ma il progetto si è un po’ impantanato) e poi avrei anche un nuovo romanzo pronto per andare in stampa.
Bisogna però anche capire bene cosa succederà con questa faccenda dell’epidemia di COVID, uscire sul mercato senza aver la possibilità di fare presentazioni e incontri, credo abbia poco senso.
I libri sono ancora uno di quei prodotti che per arrivare al pubblico hanno bisogno dello sguardo dritto negli occhi fra autore e lettore.

Intervista a cura di Francesca Ghezzani