"Ferite a fior di labbra", il nuovo libro di Marta Brioschi

 

Marta Brioschi è tornata con il suo ultimo thriller psicologico intitolato "Ferite a fior di labbra", pubblicato dalla casa editrice Be Strong.
Ambientato in una piccola città di provincia, il romanzo offre un'immersione avvincente nel mondo della psicologia e delle dipendenze, mescolando abilmente suspense e mistero. 
Marta, ti riaffacci sul panorama editoriale dopo i tuoi primi due libri, sempre editi da Be Strong: “Il Gioco delle Ombre” e “La Casa Gialla” (già tradotto in spagnolo con il titolo “La Casa Amarilla”). Ci sono punti di congiunzione tra le tre opere?
I primi due libri fanno parte di una serie che prende nome dal suo protagonista: Mae Son-Jun cui si è aggiunto anche un terzo libro il 29 luglio: “Ballo in Fa Minore”. Questi sono tutti romanzi autoconclusivi ad enigma, i classici “whodunnit”, per intenderci, rivisitati in chiave moderna, ma che conservano ancora un sapore un po’ retrò al gusto di Agatha Christie, per i veri estimatori del genere. “Ferite a Fior di Labbra” invece ha una protagonista femminile e le atmosfere del giallo si discostano un po’ da quelle della serie, che godono di ambientazioni sofisticate, a volte quasi fiabesche, presentando invece connotazioni più vicine a quelle della quotidianità delle nostre città di provincia. Costante è invece lo stile di scrittura, in cui ho curato un linguaggio attentamente descrittivo ed evocativo, pur mantenendo un buon ritmo narrativo, per una lettura fluida e immersiva.
La protagonista del romanzo, Emma Silvestri, è una giovane psicologa alle prime armi che si trova ad affrontare una sfida impegnativa: gestire dieci pazienti con una dipendenza molto particolare presso uno studio nella sua piccola città. Come è nato il suo personaggio e chi ne interpreterebbe la parte se diventasse un film?
Il primo nucleo del romanzo è nato intorno ai dieci pazienti in terapia, che volevo eterogenei. Una volta decisi i loro caratteri, mi serviva la figura del medico e nella mente è nata l’immagine di una giovane donna. L’immagine me ne ha suggerito il carattere. Se Emma dovesse essere interpretata da un’attrice donna, sarebbe sicuramente Cristiana Capotondi.
Una serie di omicidi scuote il tranquillo quartiere. Come l’accaduto squarcia letteralmente la quotidianità dei suoi abitanti? Ovvero, se fosse successo in una metropoli credi – da milanese che vive a Bolzano - che le reazioni sarebbero state differenti?
Le reazioni degli abitanti si muovono tra il sentimento di paura e il bisogno morboso di conoscere i dettagli. In una città piccola (com’è anche Bolzano) tutto questo si acuisce, per la consapevolezza di trovarsi a pochissimi gradi di separazione dall’assassino. Spaventa e nello stesso incuriosisce il pensiero di aver per un caso, con estrema probabilità, incrociato lo sguardo dell’assassino, magari anche il giorno stesso del delitto.
Viaggi moltissimo e per diletto traduci dall’inglese i sottotitoli per serie TV asiatiche. Questo è per te fonte di ispirazione davanti al foglio bianco?
Certo. Tutto ciò che faccio, le notizie che ascolto, gli aneddoti che mi raccontano, ciò che osservo andando in giro, anche solo in un bar o in un supermercato, sono per me fonte costante d’ispirazione. Ma naturalmente lo sono anche i libri che leggo, i film che vedo e i drama che traduco.
In chiusura, c’è già un quarto libro all’orizzonte o, almeno, una prima idea di base?
Come dicevo prima, il quarto esce il 29 luglio per la serie I Misteri di Mae Son-Jun, ambientato a Budapest, dove il protagonista deve risolvere il caso di una misteriosa morte a teatro. Attualmente sto lavorando invece al mio quinto, sempre per questa serie, che invece si ispira alla grande epopea italiana dei grandi transatlantici della Compagnia di Navigazione di Genova, che negli anni Trenta univano l’Italia alle Americhe.
Intervista a cura della Dott.ssa Francesca Ghezzani