La scrittrice Costanza Marana e il “suo” Aurelian ne Il crepuscolo del sogno


Dopo il primo libro “Rêverie di una vita in terza persona”, la penna della scrittrice Costanza Marana ha dato vita all’opera “Il crepuscolo del sogno”, pubblicato nuovamente dall’Erudita Editore.
 
Ci troviamo ad Arles e qui “incappiamo” nel selciato percorso da Aurelian.
 
La sua esistenza si rivela nel contesto familiare, in quello sentimentale e nei rapporti d’amicizia. Lo scenario è mobile: una piattaforma onirica; la Camargue immersa in una nuvola rosa di fenicotteri; una locanda-teatro in cui si rappresenta il paradosso della vita.
 
Costanza, in uno dei tuoi capitoli parli di vibrazione interiore. Perché e come si colloca nel contesto narrativo dell’opera? 
Il personaggio principale Aurelian durante una vacanza a Saintes-Maries-de-la Mer, in Camargue, la sera soleva rileggere alcune pagine del “La strada di Swann” di Marcel Proust. In questo testo ritrovava il suo desiderio di superare la prigione dell’anima e l’eco della sua vibrazione interiore. Quest’ultima era quella sensazione primaria, interna che apparteneva alla sua essenza come individuo. Come un suono familiare da sempre esistito. Aurelian voleva affrancarsi dall’ordine del Tempo.
Nel contesto del libro questo concetto è fondamentale poiché è descritta la volontà di superare la contingenza attraverso la ricerca di questa personale tonalità primaria, seguendo il sentiero della ricerca della bellezza.
 
Cito testualmente: I pagliacci incutevano timore ad Aurelian come tutti i burattini e marionette. Che cosa rappresenta la maschera? 
Il personaggio del pagliaccio è nel libro la rappresentazione della perdita di dignità e del grottesco umano. La maschera incute timore poiché è il simbolo del dubbio, dell’incerto e del falso nella vita. Il vivere spesso è una recita in cui noi siamo dei personaggi che lottiamo in questa dualità per sopravvivere alla contingenza e ai suoi compromessi.
 
 
Voler discernere la recita dal vivere è per Aurelian un limite e sinonimo di ingenuità?
Per Aurelian era ingenuo voler discernere la recita del vivere poiché questo limite era imprescindibile nell’esistenza e bisognava esserne consapevoli e conviverci.
 
In chiusura, ci stiamo avvicinando al Natale, festività che il tuo protagonista sente molto. Che valore ha per lui? 
Aurelian univa all’aspetto tradizionale collettivo del Natale il suo sentire intimo. Gli piacevano i riti festivi che univano il passato al presente. Egli dimenticava tutto il suo percorso di vita compiuto finora e ritornava bambino. E rivedeva sua madre e sua sorella come erano un tempo quando lui era piccolo. In particolare si ricordava e gli mancava la figura della nonna. Era una donna piena di vita che amava il crepitare del fuoco del camino e fare molti doni.

Intervista a cura di Francesca Ghezzani