Mauro Cesaretti – “ATRIO”: recensione



Con ATRIO, Mauro Cesaretti entra nel panorama del pop d’autore italiano con una proposta colta e comunicativa insieme. Il disco, curato in ogni dettaglio, riflette un lungo periodo di ricerca e collaborazione: sei anni di scrittura, incontri e sperimentazioni che hanno permesso all’artista di trovare la propria voce.

L’ascolto scorre come un racconto coerente: l’apertura di “Appesi a un filo” introduce un tema portante – la precarietà delle emozioni – che ritorna sotto forme diverse in quasi tutti i brani. In “Gli Eroi”, Cesaretti gioca con la tensione tra quotidianità e mito, mentre “Panofobico” affonda nel disagio psicologico senza retorica, con una lucidità disarmante.

La produzione alterna momenti di minimalismo e pieni orchestrali, con un uso sapiente dell’elettronica. Il risultato è un pop contemporaneo che guarda tanto alle sperimentazioni di Mahmood quanto all’introspezione di Niccolò Fabi.

Il disco convince anche per la coerenza concettuale: l’idea della casa interiore diventa una lente attraverso cui leggere ogni frammento. “Figlio di papà” e “Sono grande adesso” rappresentano due poli emotivi di un percorso di crescita che non si chiude mai.

Cesaretti dimostra un controllo notevole della scrittura: i testi sono poetici ma concreti, evocano immagini nitide senza cadere nell’enfasi. È un autore che sa usare la semplicità come strumento narrativo, unendo spontaneità e profondità.

ATRIO è un album di debutto sorprendentemente maturo, in cui la costruzione del suono diventa costruzione del sé. Se questo è l’ingresso, non resta che immaginare cosa accadrà quando Cesaretti aprirà le porte delle stanze successive.